Leonello Bertolucci sa recuperare la puntigliosità e la curiosità per ogni aspetto della vita.
Ma anche, soprattutto, la capacità di ascoltare e trasformare in immagini i sussurri, da contrapporre alle grida
di cui in troppi sembrano non poter più fare a meno.

Roberto Mutti

 

Esiste in Bertolucci, davvero incantevole e incantato, il piacere del fare, del raccontare, del vedere, sia pure
strizzando l’occhio, con ironia, ripetiamo, e senza malizia, alle infinite contraddizioni e ambigue variazioni
e valenze del mondo reale. Egli ci restituisce materie precise, le scansioni di un racconto terso e delicato, e il
suo  occhio fotografico è, per ripetere un verso di Sylvia Plath, “esatto e d’argento”.

Giuseppe Turroni

 

E Leonello Bertolucci lo fa con la delicatezza di cui è capace. La sua gentilezza e la sua curiosità si fondono in sequenze visive senza retorica. A prevalere è la fascinazione del racconto e queste immagini a colori ci riportano, ancora una volta, alle suggestioni delle origini della fotografia. Leonello Bertolucci sembra muoversi su un terreno ancora inesplorato. Libero da pregiudizi e memorie prefabbricate. Esattamente come l’inventore francese Joseph-Nicéphore, che dedicò gran parte della sua vita a rincorrere il desiderio di poter fissare delle immagini direttamente con la luce.
Allora non aveva importanza riflettere su quali fossero le immagini. La magia del gesto era più forte dei soggetti ritratti. Leonello Bertolucci inverte la tendenza. La fotografia smette di essere uno strumento illusorio che dava tridimensionalità a persone e cose.

Denis Curti

 

Leonello Bertolucci, fotografo sensibile, ha saputo guardare dove altri vedono solo. Le sue immagini dei nostri
megaliti sembrano sguardi da un terzo occhio, quello dell’anima. Bertolucci è ligure e come spesso accade sente
più dei salentini stessi la magia ancestrale di una terra dove la civiltà dell’uomo è millenaria. Bertolucci riesce
ad
avvicinare chi guarda le sue foto al mistero iniziatico di questi monumenti. I suoi menhir e dolmen non hanno
alcunché di convenzionale, piuttosto al suo sguardo diventano molto personali trasmettendo qualcosa di simile
ad un’esperienza mistica.

Edoardo Winspeare

 

La prima foto della mia vita mi fu scattata in un cortile di via Cernaia, tra i caseggiati delle Elementari e la
palestra della “Pro Italia”. Ovviamente una foto scolastica, ricordo di fine d’anno. Noi, ragazzini, in fitto gruppo;
su un lato il maestro alto, nei nostri confronti, come un campanile accanto alla chiesa.
– Fermi! – gridò il fotografo, con voce da sergente, prima del lampo.
Da allora ho conosciuto molti fotografi, quasi tutti da bottega, persino uno a Kopenik (Berlino) nel settembre 1944.
Insomma una foto da gefang (prigioniero) per gli archivi burocratici del lager. Risultai magrissimo.
L’ultimo fotografo che ho conosciuto, in ordine recentissimo di tempo, è uno spezzino, Leonello Bertolucci…

Gino Patroni